Ricerca storico-archivistica sulla chiesa di S. Apollinare di Crosio della Valle
Marco Tamborini
Antichità della chiesa
La chiesa di S. Apollinare di Crosio della Valle ci è nota in epoca medievale per un documento giunto fino a noi del 1119 nel quale si riporta che quell’edificio sacro era annesso ad un piccolo monastero di benedettine composto da sette monache (“monache ecclesie Sancti Apolinaris que est constructa in loco Crossi”). Queste, nell’ottobre di quell’anno, stendono il documento per confermare la loro obbedienza verso la chiesa di S. Vittore di Varese dalla quale dipendono, impegnandosi a pagare ogni anno nella festa di S. Vittore quattro denari o un equivalente in cera.
Ancora ritroviamo traccia di S. Apollinare in un elenco di chiese della diocesi milanese della fine del sec. XIII, il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, nel quale si dice che in pieve di Varese esisteva una chiesa dedicata a S. Apollinare “in loco grossi, plebis de varisio”.
Doveva essere di forma abbastanza semplice e tale la ritroviamo nelle descrizioni cinquecentesche.
S. Apollinare di Crosio nelle descrizioni delle visite pastorali del Cinquecento
Una prima descrizione viene stesa nel 1569 dal visitatore arcivescovile padre Leonetto Clivone che la denomina “capellam S.ti Apollinaris loci de Crossio”, membro della parrocchia di Daverio, quindi cappella e non chiesa a sottolineare la modestia dell’edificio. Questo era lungo 13 braccia e largo 8 (il braccio corrisponde a m 0,595), aveva un unico altare senza immagine sacra posto sotto l’abside a nicchia, che è senza tetto e scrostata, senza predella e povero di arredo. La chiesa è senza soffittatura e il pavimento è mal messo e irregolare.
Nel 1574 abbiamo la visita pastorale di S. Carlo Borromeo che stende una serie di ordinazioni per rendere l’edificio più adeguato alle indicazioni del concilio tridentino. Gli ordini sono secchi e perentori:
– si provveda di una pietra sacra da inserire nella mensa dell’altare;
– si ampli l’altare con cornici in legno e si fornisca di croce e candelieri d’ottone;
– “si murino le due fenestrelle che sono nel muro meridionale et ivi se ne faccia una sola alla moderna, con la sua ferrata, et stamegna di tela”;
– si imbianchino i muri della chiesa “dove fa de bisogno”;
– si sistemi il pavimento in modo da renderlo uguale;
– si faccia la soffittatura della chiesa;
– si provveda di un vaso per l’acquasanta con la sua colonna per piede;
– si muri la porta che va alla casa del massaro;
– si faccia una sacrestia;
inoltre dà una lunga lista di suppellettili mancanti che vanno acquistate.
Una successiva descrizione della chiesa proviene dalla visita del delegato Antonio Seneca del 1581.
È una minuta con alcune annotazioni posteriori, quando alcuni lavori sono stati eseguiti.
La chiesa non è molto grande e minima è la sua capacità; ha un solo altare sotto una nicchia ad arco, ornata da alcuni dipinti (“picturis minime ornata”); l’altare è indecente, i quattro candelabri sono in legno, sopra sono due gradini in mattoni, senza icona né immagine sacra. Il cielo dell’edificio non è soffittato, il pavimento non è adeguato, l’acquasantiera al muro è indecente, la pareti sono nude e senza nessuna immagine (“sine imaginibus”), la porta principale è ben munita, senza gradini, ci sono tre finestre oblunghe, due nella parete meridionale e una sulla facciata, sopra la porta principale. La sacrestia è dietro la cappella maggiore che una volta era l’abside della chiesa antica (“que alias erat nicia ecclesia vetusta”). Le anime di Crosio sono circa 100.
Nel 1582 si impartiscono alcuni decreti da parte di S. Carlo per le chiese della pieve di Varese: per S. Apollinare di Crosio si indica che l’altare è nuovo con la pietra sacra inserita e la pradella è nella forma adeguata.
Alcune annotazioni del 1586, effettuate durante la visita dell’arcivescovo Gaspare Visconti, successore di S. Carlo Borromeo, ricordano che l’oratorio (“oratorium S.ti Apollinaris”) è coperto da tegole, l’altare è sotto una semplice nicchia, chiusa da un cancello ligneo e il campanile ha una campanella, non ha la sacrestia.
Sempre di Gaspare Visconti sono le descrizioni del 1591: l’altare ha due gradini in mattoni e i quattro candelabri sono sempre in legno; la pradella dell’altare ha una larghezza minima e angustia, mancano alcuni arredi sacri e il cielo della chiesa non è soffittato.
Nel 1597 il delegato Aurelio Averoldo visita la chiesa, sempre membro della parrocchia di Daverio. Anche qui si sottolinea non essere grande e quindi incapace per le funzioni. Ha un solo altare posto sotto la cappella ad arco, incrostata e ornata da pochi dipinti, l’altare, indecente, è senza croce e i quattro candelabri sono in legno; la pietra sacra è nella forma prescritta, inserita nella mensa, sopra l’altare sono due gradini in mattone, senza nessuna immagine sacra. Il cielo della chiesa non è soffittato e il pavimento non è livellato. L’acquasantiera è indecente, le pareti sono nude e senza immagini sacre. La porta principale sulla facciata è ben munita e non ha davanti nessun gradino per salirvi; ci sono tre finestre oblunghe, due nella parete meridionale ed una sulla facciata sopra la porta d’ingresso. La sacrestia è dietro la cappella maggiore che una volta era l’abside della vecchia chiesa, anche qui con il pavimento non livellato, e i paramenti sacri sono conservati in una cassa (“Indumenta asservantur in capsa intra dicta nicia”).
Dalle descrizioni cinquecentesche si evince che la chiesa era molto semplice, monoabsidata eretta probabilmente in epoca romanica su di una precedente dove l’abside antica veniva mantenuta dietro la più recente e utilizzata in funzione di sacrestia. Non sono registrati alle pareti dei dipinti, se non alcuni nel catino absidale.
In nessuna di queste relazioni delle visite arcivescovili si fa cenno all’antico monastero di benedettine, probabilmente soppresso da tempo così da perderne il ricordo o comunque da non influire ormai più sulla vita e sulla realtà cinquecentesca dell’edificio.
Gli affreschi scoperti nel 1878
Francesco Peluso il 26 febbraio 1878 scive da Gornate una relazione sulla scoperta degli affreschi nella chiesa di Crosio che viene pubblicata sul fascicolo 14 (dicembre 1878) della “Rivista archeologica della provincia di Como” sotto il titolo Le pitture scoperte a Crosio.
Qui si dice che:
“soppresso il convento, prima che finisse il 1500, […] la piccola chiesa unita al chiostro venne accomodata a miglior uso del pubblico, togliendo via l’abside che serviva di coro alle monache, per farvi un po’ di sacrestia, e allungando la navata verso la fronte per maggior capacità della gente”. Gli affreschi che decoravano “le pareti laterali del presbiterio, la facciata, dietro l’altare, e la parte più vecchia del muro al di fuori della balaustra, erano sparite” […] “poi che si trovò chi credette miglior consiglio sottrarle alla vista, ricoprendole di più mani di calcina”.
Riportati alla luce in quell’anno, il Peluso ne descrive le caratteristiche e tenta di fare delle attribuzioni d’autore e individua due momenti di esecuzione, l’uno alla metà del sec. XV, l’altro all’inizio del Seicento, rivelando che “a destra del peduccio dell’arco vi è notato l’anno 1607”.
“Il ristauro, come dissi, consistette in ciò, che per dare alla chiesa il comodo d’una sacrestia, si valsero dell’abside che serviva di coro, e soppresse le monache, diventava inutile. Tirato su un muro ai due capi della curva, vi appoggiarono al di qua l’altare, che in origine doveva essere isolato, e al di là ebbero lo spazio a quell’uffizio”.
Fonti consultate
Archivio Storico Diocesano di Milano, Visite pastorali, pieve di Varese,
vol. 4, q. 1 (1569), q. 8 (1586), q. 9 (1591)
vol. 72, q. 15 (1574)
vol. 74, q. 49 (1582)
vol. 81, q. 25 (1597)
vol. 84, q. 43 (1581).
- Castiglioni, Fonti per la storia della pieve di Varese, in “Rivista della società Storica Varesina”, fasc. 2 (1953).
Le pergamene della basilica di S. Vittore di Varese (899-1202), a cura di L. Zagni, Milano 1992.
Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, a cura di M. Magistretti e U. Monneret de Villard, Milano 1917.
F. Peluso, Le pitture scoperte a Crosio, in “Rivista Archeologica della provincia di Como”, fasc. 14 (1878).
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